Assad è caduto. Dopo 24 anni di governo è scappato in Russia, travolto da una fulminea avanzata dei ribelli sostenuti da Ankara (e con un chiaro lasciapassare di USA e Israele) che hanno conquistato il paese senza trovare resistenza. Si chiude così l’esperienza del Baathismo siriano e della dinastia Assad che dal 1971 governava su Damasco. Finisce così anche l’ultimo governo Socialista-Nazionale del mondo Medio Orientale, chiudendo così una importante parentesi della storia politica di questa regione. Il Baathismo è un movimento politico estremamente interessante, che ha tra i suoi ispiratori proprio un siriano: Michel Aflaq. Aflaq studia a Parigi e lì conosce la politica occidentale, in particolare teorizza la creazione di un movimento politico che metta insieme le posizioni identitarie, religiose e nazionaliste dell’estrema destra cattolica di Charles Maurras con la concezione economica del socialismo, senza però negare la proprietà privata. Scopo di questo movimento è favorire una rinascita (in arabo Baath) della “nazione araba”. Il focus non è più quindi su un’identità specificamente religiosa, ma su tutto l’insieme della popolazione araba. Questo favorirà l’adesione delle minoranze religiose, che finora si trovavano discriminate e ora in questo nuovo progetto politico ricevono pari dignità politica. Lo stesso Aflaq, cristiano, apparteneva ad una di esse, ma dinamiche simili si ripetono in Iraq con la minoranza sunnita (a cui apparteneva Saddam) e in Siria con quella Allauita, a cui appartiene la famiglia Assad. Gli Allauiti sono una comunità religiosa antichissima, di origine gnostica e preislamica, che per opera della famiglia Assad si inserisce nell’Islam sciita, almeno apparentemente (si pensi che fino alla seconda metà del ‘900 gli Allauiti non celebravano il proprio culto nelle moschee). Il Baathismo propone un laicismo “sano”, cioè non anti religioso ma autenticamente favorevole a tutte le identità religiose che trovano nella nazione araba il proprio elemento armonizzante e unificante, cosa che li pone in aperto conflitto con i gruppi islamici più radicali e causa una lunga storia di sangue e scontri tra i terroristi jihadisti e le milizie dell’ex presidente Siriano. L’esperimento socialista e nazionalista del Baath ha molti nemici, interni ed esterni: gli Stati Uniti, per via della tradizionale vicinanza tra Siria e Russia, gli integralisti islamici sunniti che rifiutano il secolarismo dei governanti baathisti e Israele, che per ovvi motivi di sopravvivenza non poteva vedere con favore i governi nazionalisti nel mondo arabo. Proprio Israele è sicuramente al centro delle recenti manovre per la sostituzione di Assad, ricordiamo che dal 2014 ad oggi sono stati continui i bombardamenti di Tel Aviv su Damasco, anche perché la posizione della Siria è fondamentale per collegare gli sciiti libanesi di Hezbollah con l’Iraq, anch’esso a maggioranza sciita e soprattutto l’Iran, il grande nemico dello stato ebraico. Si è svelato anche il grande equivoco dei jihadisti siriani, legati alle potenze sunnite come le Monarchie del Golfo e la Turchia: dopo aver preso il potere si sono subito premurati di chiarire che non hanno intenzione di attaccare Israele e che i loro unici nemici sono Assad ed Hezbollah, ovvero gli stessi nemici di Israele. È evidente quindi che del dramma del popolo palestinese nel mondo islamico importa solo a Teheran e ai gruppi legati agli Ayatollah, come gli Houthi ed Hezbollah, che però con l’andare del tempo si fanno sempre più deboli e isolati. Non importa nulla ai Sauditi che con Israele hanno anche stipulato gli accordi di Abramo, non importa agli Egiziani che hanno assistito senza battere ciglio al genocidio di Gaza, non importa ai Giordani che anzi non perdono occasione per dimostrare la proprio lealtà ai Sionisti e non importa ai Turchi, che anzi hanno favorito l’estromissione dal potere di Assad, uno dei pochi nemici di Tel Aviv. Al di là dei proclami, è evidente che la religione venga usata come strumento da questi gruppi, che da anni condannano a parole le violenze contro il popolo palestinese, ma che in realtà non hanno fatto seguire i fatti alle parole, preferendo invece trattare con Tel Aviv pur di eliminare altri competitor nel mondo arabo. La sconfitta di Assad e il precipitare della Siria in mano alle frange Jihadiste è perciò una disfatta per Teheran e per gli Hezbollah, che ora si trovano isolati, ma soprattutto una vittoria per Netanyahu, che approfitta della situazione per espandere i proprio territori a nord, occupando Quneitra e altre zone finora controllate da Damasco, il tutto nella più completa noncuranza di leader politici e religiosi islamici che fino a poche settimane fa invocavano le peggiori punizioni sul nemico sionista. Come già altre volte in passato, i peggiori nemici dei Palestinesi si nascondono tra i musulmani stessi.