Nel suo illuminante saggio “Julius Evola, stella del mattino”, Alexander Dugin traccia un percorso affascinante attraverso l’opera di Evola, dimostrando come le sue riflessioni, apparentemente radicate nel secolo scorso, siano in realtà straordinariamente attuali e possano offrire una bussola preziosa per orientarsi nel labirinto della postmodernità. Dugin, infatti, individua nell’uomo differenziato, figura centrale in “Cavalcare la Tigre”, il precursore del Soggetto Radicale, pilastro fondante della sua Quarta Teoria Politica. Questa figura, lontana dall’omologazione e dal conformismo tipici delle società contemporanee, incarna un principio di resistenza e di affermazione dell’identità autentica. Condividiamo l’opinione di Dugin e riteniamo che un’approfondita comprensione del pensiero di Evola sia indispensabile per chi desidera elaborare una visione del mondo alternativa al nichilismo e all’individualismo imperante. L’esegesi del pensiero filosofico e tradizionalista evoliano rappresenta, a nostro avviso, un punto di partenza fondamentale per costruire un neopatriotismo autenticamente comunitarista. In questo senso, due testi di Giovanni Damiano risultano particolarmente illuminanti: “La filosofia della libertà in Julius Evola” (1998) e “Elogio delle differenze” (1999). Entrambi gli scritti offrono un’analisi lucida e approfondita del pensiero di Evola, mettendone in luce l’attualità e la rilevanza per comprendere i nostri tempi. Damiano, in particolare, sottolinea come Evola abbia elaborato una filosofia della libertà radicata nella tradizione, una libertà intesa non come mera assenza di vincoli, ma come possibilità di realizzare il proprio destino e di affermare la propria identità. Questa concezione della libertà è in netta contrapposizione con l’individualismo astratto e disincarnato che caratterizza la società contemporanea. L’elogio delle differenze, altro tema centrale nell’opera di Evola e di Damiano, si pone in netta contraddizione con l’ideologia dell’omologazione e dell’uniformità che domina la nostra epoca. Evola e Damiano ci invitano a riscoprire il valore delle differenze, a celebrare la pluralità delle culture e delle tradizioni, e a resistere alla tentazione di ridurre tutto a un unico paradigma.Riteniamo necessario, ad oggi sviluppare una visione del mondo che permetta di resistere all’omologazione nichilista postmoderna: a tal proposito proviamo ad approfondire tali temi con il professore Giovanni Damiano.Grazie Professor Damiano della sua disponibilità. Quale è l’importanza della concezione della libertà-potenza della filosofia evoliana nel contesto odierno?Nel suo bellissimo testo “elogio delle differenze” lei si schiera per un etnopluralismo contro l’omologazione mondialista. Può illustrare bene ai nostri lettori questo concetto? Innanzitutto, ringrazio “Il Talebano” per l’opportunità che mi è stata concessa.Per quanto riguarda la prima domanda, si tratta di una questione assolutamente decisiva e forse oggi ancora più di ieri, perché a me sembra che proprio nel nostro presente la libertà, intesa come possibilità autentica di ‘tentare’ vie alternative allo stato di cose vigente, sia sempre più a rischio e sempre più compromessa. Ecco perché la lezione evoliana, a mio parere, non solo non ha perso di attualità, ma è adesso, se possibile, ancora più essenziale, in quanto per l’Evola filosofo è appunto centrale il problema della libertà. Ora, come dovrebbe essere evidente, ogni autentico problema filosofico non nasce in qualche empirea astrattezza, bensì nel concreto della nostra esperienza esistenziale. E a muovere Evola era innanzitutto l’intenzione di rendere sempre più libera la propria vita. Ed ecco perché la libertà evoliana è declinata nell’ambito pratico (da qui il suo peculiare idealismo magico). La libertà è tale non se rimane un semplice costrutto ideale o teoretico, ma se si ‘incarna’, se si realizza concretamente. Ed è per questo che la libertà è coniugata con la potenza (perciò appunto libertà-potenza), perché se fosse priva della potenza rimarrebbe un sogno inane, una mera aspirazione mai destinata a realizzarsi. Che poi la libertà possa anche fallire è inscritto nel suo essere appunto libera da ogni necessità, da ogni esito già determinato in partenza. Ma ovviamente tutt’altra cosa è l’impedire a priori l’esercizio della libertà, il soffocarla nelle maglie dell’ideologia oggi dominante, che, in nome delle sue ossessioni di ‘correttezza’ egualitarista (e quindi inevitabilmente omologante) finisce per sacrificarla appunto sull’altare di una esangue, smorta Eguaglianza. Da qui, a mio parere, l’importanza ancora oggi del lascito evoliano, da leggere come una salutare lezione su cosa significhi davvero volersi liberi, non in un qualche mondo onirico, ma nella concreta e rischiosa prassi, senza però scendere a patti col reale e senza tentennamenti di sorta, e soprattutto senza adeguarsi a ciò che oggi viene spacciata per libertà ma che è invece totalmente appiattita sulle idee dominanti della nostra epoca.Venendo alla seconda domanda, Elogio delle differenze, pur non riguardando Evola bensì il pensiero delle differenze visto come alternativa alla globalizzazione, è comunque un’opera strettamente connessa al tema della libertà, e per almeno due motivi. Innanzitutto, è un’opera scritta in quella che si potrebbe chiamare l’età dell’oro della globalizzazione, quando appunto, con il crollo dell’Urss, sembrava davvero imminente la ‘fine della storia’, come profetizzava Fukuyama, ossia l’impossibilità di ogni reale alternativa alla situazione epocale che si stava allora delineando. Di fronte a un simile scenario, bisognava invece riaffermare le ragioni della libertà storica, ovvero mantenere intatte le possibilità di dar vita a una alternativa, in modo da non arrendersi a una situazione che veniva presentata come irreversibile, quasi come se il corso della storia stesse seguendo un percorso già prestabilito. Ma in effetti anche la difesa delle differenze etnoculturali che da sempre compongono il mondo ha a che fare con la libertà, perché, molto semplicemente, senza libertà non ci sono differenze. In un mondo non libero, schiacciato da una pervasiva omologazione, da un opprimente livellamento, non c’è più spazio per le differenze. Se non si è più liberi di preservare i propri modi di vivere, le proprie tradizioni, la propria storia, l’unico destino sarà il loro annichilimento, la loro scomparsa, a favore di un mondo appiattito sul medesimo. Se il proprio differire è visto come un ostacolo alla ‘trionfante’ avanzata del medesimo, allora essere liberi significa appunto lottare per il mantenimento (certo, in forma dinamica) del proprio modo di vita, significa difendere l’etnopluralismo, quindi, in fondo, non solo le nostre tradizioni, ma quelle di tutti, perché la lotta, se ne sia consapevoli o meno, riguarda chiunque. Questo, perciò, nel rispetto di tutti gli altri modi di vita, perché un pensiero delle differenze si basa appunto sul riconoscimento dell’altro, senza il quale, alla lettera, non ci sarebbe neanche il proprio. Per cui, in definitiva, è sempre in gioco la nostra libertà, ovvero la possibilità di poter decidere da soli quello che si vuole essere.Grazie ancora per l’ospitalità.